Bernardino Dalponte - Il mondo degli Schuetzen

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 IL TIROLO ITALIANO
                                    tratto da "Gli schützen tirolesi e trentini e la loro storia" di Franz-Heinz v. Hye, Bolzano 2002 - postilla del prof. mons. Lorenzo Dalponte - Edizione Athesia

2) Bernardino Dal Ponte

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La lotta contro Napoleone durò quindici anni, dal 1796 al 1810, e fu la più dolorosa per tutto il Tirolo: per quello tedesco, che insorse sotto la guida di Andreas Hofer, e per quello italiano che ebbe un comandante coraggioso ma sfortunato in Bernardino Dal Ponte. Nel 1796 la Francia rivoluzionarla era in guerra contro l'Inghilterra e l'Austria e proprio per costringere l'impero asburgico alla resa e alla pace, con l'obiettivo di conquistare Vienna il Direttorio di Parigi pianificò un'offensiva oltre il Reno, in Germania, e un'offensiva in Italia affidate al comando del giovane generale Napoleone Bonaparte.
Quando l'armata francese si affacciò al Tirolo, suscitò dappertutto spa- vento e terrore, perché nella tradizione popolare si manteneva ancora vivo il ricordo del feroce passaggio dell'esercito del generale Vendóme nel 1702. Dal 1796 al 1810 le vittoriose campagne militari di Napoleone sconvolsero la terra tirolese percorsa da otto invasioni con relative occupazioni di suolo ed edifici, gravosissime richieste di contribuzioni e requisizioni brutali, mal tollerate dalle popolazioni che per circa quindici anni, con rabbia e tra sofferenze inenarrabile, ad ogni loro passaggio si opposero ai Francesi e al loro alleati bavaresi, fino alla definitiva sconfitta del generale.
Secondo i calcoli dei professori Hans Kramer dell'Università di Inns- bruck e di Hans Magenschab di Vienna in queste lotte caddero oltre duemilacinquecento tirolesi, mentre i feriti furono parecchie migliaia. Lo storico Girolamo Andreis di Rovereto (1856) scrive, invece, di ben quattromila morti e, tra questi, di molte donne che prestavano servizio quali vivandiere.
La vittima più illustre fu senz'altro Andreas Hofer (San Leonardo in Passiria, 1767), vero capo carismatico dell'opposizione popolare alla prepotenza degli invasori, fucilato a Mantova il 20 febbraio 1810 per espresso ordine di Napoleone. Accanto a lui vi sono altre figure di comandanti i cui nomi sono rimasti nella storia e nella coscienza collettiva come eroici combattenti per la libertà della propria terra.
Fra questi, nel Tirolo italiano, il ruolo di maggior rilievo spetta a Bernardino Dal Ponte, anche se nella storiografia ufficiale e nella pubblicistica del mondo austro-tedesco, per ovvie ragioni politiche, non incontrerà il favore e sarà presto dimenticato.
Il primo documento che parla di Bernardino Dal Ponte, celebrato come un difensore della patria tirolese, è uno scritto di Anton Gassler pubblicato sull'Almanack auf das jahr 1802, stampato a Vienna. Lo riportiamo nella traduzione italiana.
«Quando, all'inizio del settembre 1796, la città di Trento fu occupata dal- le truppe francesi al comando di Napoleone Bonaparte, caddero in mani nemiche quattro difensori della patria tirolese. In conseguenza di un noto proclama furono buttati in carcere, perché portavano armi, e furono fucilati davanti alla porta di San Lorenzo alla presenza del pubblico.
Quest'azione, che nell'intenzione del comando francese avrebbe dovuto annientare il coraggio dei tirolesi, ebbe l'effetto contrario. Tutta la nazione tirolese restò inorridita davanti a questo delitto e i combattenti ardevano dal desiderio di vendicare i loro infelici compagni. Con queste intenzioni il sergente dei bersaglieri Bernardino Dal Ponte, giudicariese, e dodici seguaci della compagnia di Trento che si erano dovuti ritirare nella conca del Primiero, chiesero al loro comandante jakob von Graff il permesso di poter fare prigionieri. Dopo una marcia di quindici ore verso la Valsugana, nella fredda notte del 13 ottobre presso Masi di Novaledo sorpresero un picchetto francese di ventisei uomini accampato insieme alle sentinelle, attorno a un grande fuoco.
Il Dal Ponte ordinò ai suoi uomini di sparare tra le fiamme per far schizzare in faccia al nemici carboni accesi, quindi li assalì con le armi rovesciate, a mo' di randello, uccise otto uomini, ne ferì altrettanti e cinque li catturò, mentre i rimanenti si salvarono con la fuga. I prigionieri non subirono alcun maltrattamento, ma furono condotti a Fiera di Primiero e consegnati al comando della compagnia: «Volevamo dimostrare - spiegarono i bersaglieri - che noi sappiamo rispettare i diritti umani meglio dei nostri nemici che così tanto ne parlano».
Il 7 novembre 1796, durante la conquista di Castel Beseno, il tenente Franz jakob Stecher di Malles, aiutante del comandante von Graff, uno dei più valorosi ufficiati tirolesi, fu gravemente ferito. La sua compagnia si trovò disorientata e non poté impedire che fosse portato via prigioniero. Il Dal Ponte, quando fu informato del fatto, con sette commilitoni si cacciò arditamente in mezzo alle linee francesi, raggiunse il tenente ormai agonizzante e lo riportò a spalle tra i suoi. Per questa azione coraggiosa gli fu assegnata la Medaglia d'Oro.
Negli anni 1799 e 1800, l'intrepido giovane sali di grado e fu promosso capitano di compagnia e in ogni occasione diede prova del suo coraggio e del suo amor di patria.
Bernardino Dal Ponte nacque il 24 febbraio 1772 al Castello delle Spine di Vigo Lomaso nelle Giudicarie Esteriori. Nel 1753, per milletrecentocinquanta fiorini, il maniero era stato ceduto dai Conti d'Arco alla famiglia Dal Ponte che da generazioni attendeva alla coltura dei campi e dei prati di proprietà dei nobili.
Il casato di Bernardino contava sette fratelli e tre sorelle. Aveva uno zio sacerdote, che fu il suo primo e probabilmente unico maestro.
Nel 1797, a venticinque anni, fu eletto sindaco della comunità di Lomaso, certamente anche sulla base della fiducia che si era conquistato durante la resistenza e la lotta in occasione delle due recenti invasioni dei Francesi. Dapprima trova un'occupazione come «scrivano», con funzioni di notalo per acquisti, vendite e permute di terreni; poi si sistemerà stabilmente alle dipendenze del principato di Trento in qualità di esattore delle imposte a Tione.
Nell'autunno del 1800, lungo le valli e sui monti tra il lago di Garda e il fiume Chiese, dilaga la terza invasione francese guidata dal generale Macdonald. La sua armata, forte di ben ventimila uomini e ricordata come la «diabolica» per le efferatezza che commise, travolse ogni resistenza opposta dalle truppe austriache e dalle compagnie valligiane di bersaglieri. Il capitano Dal Ponte fa la sua parte: in Val Vestino, con soli trenta uomini, riesce a fermare un grosso reparto francese di duecentocinquanta soldati e lo costringe alla fuga.
Il 10 agosto 1801 Bernardino si sposò con una giovane di Fiavè, Barbara Zanini, dalla quale ebbe due figlie. Cambierà due volte residenza, lasciando Castello delle Spine per Campo Maggiore, per trasferirsi poi definitivamente, dopo il 1820, a Fiavè, presso i parenti della moglie.
In questo inizio di secolo profondi mutamenti sconvolgono gli assetti po- litici del Tirolo. Nel 1802 cessava Il piurisecolare bonario governo del principe vescovo di Trento e tutto il distretto, assieme a quello di Bressanone, veniva assegnato dall'onnipotente Napoleone all'Imperatore d'Austria; dal gennaio 1806 esso sarà dato in possesso al Re di Baviera che per tre anni operò con drastici ordinamenti, abolendo le secolari autonomie comunali, imponendo nuove tasse, rendendo obbligatoria l'odiosa leva militare e trattando i parroci come impiegati di uno stato fondato su concezioni di stampo illuministico.
Il malumore delle popolazioni crebbe, montò a dismisura e bastò la notizia che nella primavera del 1809 l'Austria aveva ripreso le ostilità contro Napoleone perché le sommosse scoppiassero in ogni valle del Tirolo. Andreas Hofer, capitano di una compagnia di Schützen della Val Passiria, fu nominato comandante supremo delle truppe popolari di bersaglieri e divenne il protagonista indiscusso dell'insurrezione.
Al suo appello di formare in ogni comunità una compagnia di patrioti e di cacciare il nemico franco - bavarese, il capitano Dal Ponte, che forse era entrato in urto con i fiscali e antipatici funzionari governativi, organizza immediatamente la rivolta nel Trentino occidentale e viene nominato comandante di un gruppo di compagnie che rifornisce di armi strappate ai nemici nel corso di sortite audaci e improvvise nella piana di Riva del Garda e in Val Lagarina.
Il 5 e 6 luglio Napoleone batte gli Austriaci a Wagram e il 12 luglio, con l'armistizio di Znaim, impone a Vienna di ritirare ogni truppa dal Tirolo. Andreas Hofer resta solo con i patrioti e alla testa dei diciassettemila insorti, il 13 agosto, riconquista Innsbruck, quindi incarica un suo luogotenente, il meranese Giacomo Torggler di liberare dagli invasori anche Trento.
Sulla città marciano le compagnie della Valle di Fiemme e del Primiero; altre arrivano dalla Valle di Non. Il comandante Dal Ponte giunge a Cadine con le compagnie giudicariesi e mette in fuga i Francesi che preferiscono abbandonare il capoluogo e ritirarsi verso Rovereto. Il Magistrato di Trento, tramite i due Consoli, lo invita a entrare in città con le sue truppe e a mantenervi l'ordine e allo scopo lo nomina governatore militare e gli procura una divisa da ufficiale. Il Dal Ponte, per garantire la sicurezza della popolazione, organizza immediatamente una guardia civica, articolata in sei compagnie di cinquanta uomini ciascuna, e invia rinforzi a Castel Pietra, in Val Lagarina, per contrastare un eventuale ritorno dei Francesi.
Nel pomeriggio del 22 agosto arrivano da Lavis anche le compagnie tedesche del Torggler che pretende dal Magistrato la custodia delle porte, il totale controllo della città e l'immediata consegna di quattromila fiorini. Il comportamento e le condizioni imposte dal comandante misero in grave imbarazzo le autorità municipali alle prese con una pesantissima situazione finanziaria e irritarono i capitani dei bersaglieri trentini; ma pure tra gli stessi ufficiali tedeschi, Tónig, Schweiggl e Mohr sorsero rivalità e invidie, tanto che si arrivò a temere che le diverse fazioni venissero alle mani.
Per tenere tutti a bada e imporre la necessaria disciplina con cui poter fronteggiare l'esercito avversario, ci sarebbe stato bisogno della presenza fisica di Andeas Hofer, ma in quelle settimane il comandante supremo aveva grossi problemi di governo nel Tirolo del Nord e preferiva restare a Innsbruck.
Il 24 agosto la Brigata del generale francese D’Azmayr, che si era rivìrata ad Ala, riprende le ostilità, torna sui suoi passi, rioccupa Rovereto e minaccia di piombare su Trento. Dal Ponte concepì allora un piano audace per cogliere alle spalle i Francesi e tagliare loro la ritirata. Con i suoi uomini attraversò il fiume Adige sotto l'abitato di Mori e li distribuì sulle alture di Marco; a Serravalle fece scavare una profonda trincea sulla strada imperiale per disturbare e rallentare il passaggio dei carriaggi e dell'artiglieria nemica.
Il piano non ottenne i risultati sperati perché il comandante venne a trovarsi praticamente solo nella realizzazione di quest'impresa e pur infliggendo rilevanti perdite alla brigata francese, non riuscì a bloccarla; a Serravalle ebbe però la soddisfazione morale d'impossessarsi della carrozza personale del generale nemico e come un trofeo la trascinò a Rovereto. Insegui poi i Francesi fino alla chiusa di Verona, quindi, potendo disporre di circa venti compagnie, stabilì ad Ala il suo quartier generale.
Nel frattempo la situazione nella città di Trento restava sempre precaria e caotica. Andreas Hofer comprese che la nomina del Torggler non era stata una scelta felice e così, in occasione di una breve visita a Bolzano il 4 settembre inviò un proclama al «Dilettissimi tirolesi italiani» per rendere loro noto che designava Giuseppe de Morandel di Caldaro suo rappresentante, «Comandante legittimo e autorizzato nel Tirolo meridionale».
Purtroppo anche questa nomina fu poco fortunata. Morandel non si mosse mai dal suo paese e si limitò a spedire ordinanze che quasi nessuno rispettava. Solo in ottobre, nel giorni dello scontro decisivo tra le truppe francesi, che avevano rioccupato Trento, e le compagnie degli insorti, che dalle colline scendevano per liberare la città, Hofer incaricò il suo coraggioso aiutante di campo Josef Eisenstecken di assumere il comando militare del Tirolo meridionale: questi, però, constatò che la situazione era ormai compromessa, anche perché aveva a che fare con «unverständige Hauptleute», cioè con capitani irragionevoli, tremendamente gelosi del proprio potere.
Il 10 ottobre 1809 passò alla storia tirolese con il nome «der Tag der Schande >>, il giorno della vergogna, perché a Trento il generale francese Peyri, manovrando abilmente reparti di cavalleria e d' artiglieria con ottomila uomini travolse e disperse definitivamente quindicimila insorti.
Qualche settimana prima il Dal Ponte non aveva risparmiato critiche al comando tedesco nel quale vedeva grosse carenze di capacità ed energia: i Torrggler, i Tönig, gli Schweiggl erano gente aliena da gesti risoluti sia per età che per temperamento e per di più erano divisi da sospetti e rancori profondi. Fu in questo momento che il bersagliere  venuto dal Lomaso, sostenuto da compagnie fedeli e ben disciplinate, decise di assumere personalmente il comando di tutto il Tirolo italiano.
Il 16 settembre, da Ala, fece diffondere un proclama nel quale invitava «Città, borghi, e villaggi del Tirolo italiano a non riconoscere verun comandante superiore se non lui» e prometteva ai «cari fedelissimi Tirolesi italiani» di difendere loro e la Santa Religione e di far rispettare le loro persone con le loro case e le loro sostanze. Nella storia del Trentino è questa la prima volta che si afferma un'esigenza di difesa e di amministrazione autonome.
Il proclama del Dal Ponte allarmò fortemente i comandanti tedeschi che decisero di toglierlo di mezzo con un tranello: gli comunicarono che loro si sarebbero ritirati sopra Lavis e che lasciavano a lui la responsabilità della difesa del fronte meridionale e nel contempo lo informavano che i Francesi stavano per forzare il Passo del Tonale.
La notizia era falsa e ingenuamente, come riferisce l'Andreis, il coman- dante cadde nella trappola. Con il fratello attendente e un altro ufficiale si portò a rotta di collo a Trento ma appena prese alloggio all'albergo Europa fu fatto prigioniero da un picchetto di Schützen e fu trasferito prima a Caldaro e poi nelle carceri di Innsbruck. Era il 20 settembre. A nulla valsero le sue proteste di innocenza; arrivò a dire che si sarebbe lasciato impiccare su una qualsiasi piazza se si fosse trovata una sola prova dei misfatti di cui veniva accusato. La sua cattura suscitò stupore e sbigottimento. I suoi ufficiali e le sue compagnie si sciolsero e presero la via di casa.
Il 25 ottobre le truppe franco - bavaresi riconquistarono Innsbruck e liberarono il Dal Ponte, però gli imposero gli arresti domiciliari. Da Milano il Ministero degli Interni del Regno d'Italia, infatti, lo riteneva «pericoloso se le circostanze gliene dessero l'occasione».
Da parte austriaca, invece, qualche anno dopo, nel suoi riguardi fu espresso un giudizio lusinghiero: il commissario imperiale e primo consigliere politico di Andreas Hofer, il barone josef Hormayrzu Harlenburg, scrisse che il comandante Dal Ponte fu «der vorzüglichste an militärischen Einsichten und Bravour,>>, il migliore per capacità militare e coraggio.
Nel 1815, dopo la caduta di Napoleone, mentre il Tirolo tornava lentamente alla normalità, il Dal Ponte citò davanti al tribunale militare coloro che lo avevano tradito e imprigionato. I responsabili furono condannati e obbligati a versargli un risarcimento di quattrocentoventicinque fiorini per i danni morali subiti.
Nel 1851 il Tiroler Scbützen - Zeitung di Innsbruck, nel presentare per la penna del suo direttore Schönherr la storia di diciassette comandanti del Tirolo meridionale, al nome di Bernardino Dal Ponte, recava, come sottotitolo, «ein wackerer Welschtiroler», un coraggioso tirolese italiano.
Nel 1852, quando il re Carlo Luigi Bonaparte, proclamatosi imperatore dei Francesi parve restaurare la gloria del grande zio suscitando nuove guerre sul continente europeo, Bernardino Dal Ponte, ormai avanti negli anni, incontrando il concittadino don Ignazio Carli, esclamerà: «Codesti Francesi sono sempre li a volere la gherre, la gherre! Le dico lo, signore, che se avessi soltanto vent'anni di meno, mi sentirei il fegato di misurarmi un'altra volta con quegli stomacosi Franciosi che non lasciano in pace il mondo». E il sacerdote, divenuto decano di Tione, annoterà: «Il capitano Dal Ponte da Castel Spine, ardito guerillatore contro i Francesi da principio di questo secolo. Visse assai, mori il 1860 a Flavé con esempio edificante».
Non ci è pervenuto il ritratto fisico della persona del Dal Ponte, però sulla base di quanto fece e scrisse e di quanto di lui è stato detto, è possibile abbozzare il ritratto morale.
Fu un valligiano combattente, capace di slancio e di ardimento quando si trattava di intraprendere un'operazione armata; non fu un politico, perché in questo campo non era preparato, ma da uomo ben radicato in mezzo alla sua gente, a capo di un movimento di resistenza schiettamente popolare che si organizzava per la difesa di un avito mondo di valori religiosi, morali e familiari, operò in base al buon senso, con la fierezza del montanaro libero che difende ciò che è suo.
Per questo suo orgoglio e per questa sua determinazione, senza fare violenza alla verità dei fatti, si possono legittimamente accettare a suo riguardo e a riguardo delle popolazioni che contrastarono i Francesi, le entusiastiche espressioni che lo storico Carlo Botta (1824) espose nella sua Storia d'Italia dal 1789 al 1814: «L’insurrezione tirolese fu una guerra singolare e spaventosa, nella quale i fanciulli fecero da adulti, i vecchi da giovani, le femmine da uomini, gli uomini da eroi, né mai più onorevole e giusta causa fu difesa da più unanime e forte consenso».
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