Cronistoria giudicariese 1797 - Il mondo degli Schuetzen

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"Uomini e genti Trentine durante le invasioni napoleoniche  1796 - 1810"
di prof. mons. Lorenzo Dalponte - Edizioni Bernardo Clesio Trento anno 1984

12) Cronistoria giudicariese 1797

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Nelle valli giudicariesi nei primi giorni dell'anno si godette di un periodo di tranquillità, perché il Generale Loudon aveva posto il quartiere del comando a Stenico, distribuendo truppe e compagnie un po' da per tutto. Le comunità avevano la sensazione di essere finalmente protette da quei forti contingenti di truppa.
Ma nel frattempo il Comando Francese preparava la nuova offensiva. Barconi armati vigilavano sui lago di Garda perché dalla Repubblica di Venezia non venissero importate granaglie nel Tirolo, ed il Gen. Roche, il 7 gennaio 1797, si muoveva con 400 uomini per saggiare le resistenze nella Valle del Chiese.
Si suona campana a martello nei paesi di Caffaro, Darzo e Lodrone, e la popolazione tutta insorse e diede man forte ai bersaglieri che riuscirono a bloccare l'incursione e poi a respingere l'invasore oltre la Rocca d'Anfo, al di la del Lago di Idro.
Ai tre Comuni, che si erano sollevati con tanto coraggio, il Comitato di difesa del Sud fece giungere da Bolzano una nota particolare di lode.
La spallata fatale, che fece traballare tutte le difese del fronte meridionale, arriva pochi giorni dopo, quando Napoleone batte l'esercito austriaco a Rivoli il 14 gennaio. II Gen. Loudon, che dalla Rocca d'Anfo era avanzato fino a Barghe, nel Bresciano, dovette frettolosamente indietreggiare verso le Giudicarie.
II 26 gennaio il Gen. Joubert, che ricevette l'ordine di entrare nuovamente nel Tirolo, attacca dapprima attraverso il passo di San Valentino verso Brentonico, poi forza le posizioni di Ala, Chizzola e Ravazzone ed entra il 29 a Rovereto.
II 28 sbarca a Torbole, da Sala, il Gen. Murat con 1200 uomini, e marciò su Arco, Drena e Vezzano. Siccome alle porte di Arco rimasero uccisi due soldati francesi, la città fu tassata di 400 zecchini e della fornitura di una grossa quantità di pane e di vino.
Nei villaggi della Valle del Sarca fu un susseguirsi giornaliero di ruberie e di requisizioni d'ogni genere. Non erano soldati quelli, ripeteva la gente, erano cavallette voracissime che pretendevano ad ogni momento viveri e foraggio. Trento, raggiunta dalla cavalleria del Gen. Vial, subì la stessa devastazione, anche se Napoleone aveva espressamente raccomandato con uno scritto di risparmiare la citta. “Sono mostri d'infemo - scrive il Pietrapiana - cani insaziabili, mandati in questo paese per nostro flagello e che non cercano che di rubare ... Una truppa composta di ladri come questa mai vi fu al mondo, ne vi può essere nella storia che un'armata si abbia a sostenere a forza di rapacità, come essa fa, senza pagare cosa veruna”.
Altre disgrazie colpirono le popolazioni: dapprima il flagello della peste bovina che porto gravi danni all' economia delle famiglie. La peste era arrivata dalla Germania nel Tirolo Meridionale con i trasporti di merci tirati da buoi. In breve si dilatò per tutte le valli anche perché non vi erano rimedi sicuri contro l'infezione. Poiché commercianti ingordi e incontrollati trafficavano con bestiame infetto, si dovettero proibire nel mese di giugno tutte le fiere. Unico rimedio efficace fu quello di abbattere il bestiame ammalato e di isolare completamente le zone dell'epidemia; la qual cosa comporto gravi conseguenze: molte famiglie restarono senza animali nella stalla.
Scoppio poi un'epidemia tra la gente, il tifo petecchiale. Ecco la descrizione che ne fa il Maffei nella sua cronistoria: “Non basto il danno negli animali, che in primavera di questo anno si manifestò anche negli uomini una epidemia di carattere putrido convulsivo.
Rimanevano nel Tirolo ospedali militari, e gli ammalati non potevano che mandare morbose esalazioni; e tanti cavalli, ed altre bestie non abbastanza profondamente sotterrate, principalmente lungo le strade regie, riscaldandosi in primavera la terra, fermenta­vano. In molte persone i timori cagionati dalla guerra, e dalle invasioni, congiunti col rammarico de' danni sofferti, ed il ritorno di tanti bersaglieri ammalati, che portavano alle loro case i funesti effetti di strapazzi, e disordini; tutti questi motivi influirono ai mali epidemici che serpeggiarono nelle città, nelle ville, e nei monti, e mandarono al sepolcro migliaia di cittadini talmente, che nel tratto Attesino venne sensibilmente a mancar la popolazione, ed in conseguenza notabilmente soffrirne la agricoltura, non avendo questo male risparmiato ne sesso, ne eta”.
Dai documenti dell'epoca risulta che 8000 soldati e 2000 cittadini sono deceduti a causa di quest' epidemia. Intanto la truppa francese imperversava implacabile nei territori occupati con continue requisizioni di danaro, di bestiame e di foraggio.
Nelle Valli Giudicarie era stata  grande la costernazione della popolazione, quando ebbe constatato che l'esercito  austriaco aveva abbandonato la Valle del Sarca, la Valle di Ledro ed il Distretto di Lodrone, per fermarsi incerto sui passi del Durone e sulle alture  di Stenico. II lamento della gente era stato portato a Trento da appositi  inviati, che non avevano ottenuto se non vaghe promesse. Le Valli erano così  passate completamente nelle mani dei Francesi, tranne la Rendena, dove si erano  organizzate, per la difesa dell'en­trata della valle, le Compagnie del Cap.  Dott. Cavoli di Pinzolo e quella del Cap. Giuseppe Chesi di Spiazzo.
Quando il 18 febbraio, i fornitori dell'esercito francese,  accompagnati da una scorta di cavalleria, si presentarono al Luogotenente di  Stenico con l'ordine del Consiglio di Trento di requisire 60 buoi, l'allarme scattò e dalla Rendena arrivarono in fretta le compagnie dei Capitani Chesi e Cavoli che sorpresero il gruppo disperdendolo e si impossessarono di 10 cavalli,  con le bardature. Come era d'uso, fu loro permesso di metterli poi all'asta e di  dividerne il ricavato.
Anche una puntata dei Francesi da  Vezzano verso Molveno, lungo i fianchi della Paganella, venne respinta dai  bersaglieri dei Capitani Belluti e Allotti.
Alcuni giorni dopo i bersaglieri di  altre compagnie effettuarono un'incursione da Molveno verso Ranzo e Le Sarche,  dove dispersero i1 picchetto francese di guardia. Quelli del Capitano Aloisi  fecero prigioniero un soldato che doveva recare a Brescia la parola d' ordine.  Una pattuglia inoltre si spinse fino ad Arco, coll'intenzione di far prigionieri  i cavalieri colà alloggiati.
Altri bersaglieri si impossessarono  presso Ballino di 18 buoi e poi ancora di 6 nella zona di Pieve di Bono, che  erano stati requisiti e che dovevano essere condotti a Trento.
Uno dei più attivi e coraggiosi comandanti fu i1 Capitano  giudicariese Marco Zanini di Fiave, che si distinse in questo periodo in diverse  azioni coraggiose tra Molveno e Fai ed in alcune incursioni nella Valle del  Chiese occupata dai Francesi.
Lo scontento contro l'invasore, per  le continue spogliazioni che riducevano la gente all'indigenza, era generale ed  è ovvio che le incursioni di gruppi di bersaglieri trovassero l'appoggio delle  popolazioni che a loro volta facevano assegnamento sui loro intervento. Quando  alla Comunità di Arco fu chiesta una contribuzione esagerata, all'obiezione che  essa non era in grado di soddisfarla, i1 comando Francese minaccio un saccheggio  di tre ore. I Consiglieri comunali non si lasciarono intimidire e risposero che  loro, per chiamare aiuto, avrebbero suonato per sei ore campana a martello. Al  che, i Francesi ritirarono per i1 momento la loro richiesta.
Proprio ad Arco giunse i1 26 febbraio  un gruppo di bersaglieri dalla Valle di Non che disperse 15 cavalieri francesi,  uccise un ufficiale che non voleva arrendersi e se ne tornò a Denno senza  perdite con il bottino d'un cavallo.
Col mese di marzo le requisizioni da  parte del Comando Francese si intensificarono impietosamente. Si stava  preparando l'offensiva e l'esercito necessitava di salmerie. II 6 marzo anche i1  Capitano Zanini raggiunse Arco, e disperse i1 locale reparto di cavalleria  facendo prigionieri due cavalleggeri e impadronendosi di 5 cavalli completi di  bardatura. Fu premiato con una medaglia e con un decreto di plauso, conferitogli  dal Commissario provinciale Carlo de Fedrigotti e dal Comandante Superiore Conte  Giovanni D'Arsio.
Un altro colpo di mano, a danno del  temuto e odiato nemico, ebbe l'onore della cronaca in Val Giudicarie.
Il Luogotenente di Stenico aveva  notificato al Gen. Joubert quanto era accaduto il 19 febbraio. Questi rinnovò la  richiesta di bestiame da macello e minacciò di intervenire con la spada e con il  Fuoco se non si ubbidiva. Ai Comuni giudicariesi non restò che cedere al  ricatto. Ma non erano d'accordo i bersaglieri che la già povera terra venisse  privata di altro bestiame.
II Comando Francese addetto alla  requisizione raccolse in quel di Storo 80 capi di bestiame e molte pecore e li  incamminò per il passo del Durone verso Trento. I bersaglieri, informati della  cosa, decisero di impedirne il passaggio. II Cap. Chesi, che presidiava  l'entrata della Val Rendena, diede ordine ai suoi bersaglieri di inseguire i  Francesi su per il passo del Durone e avvertì i Capitani Cavoli e Torresani, di  stanza a Pinzolo e a Carisolo, di far marciare rapidamente le loro compagnie  verso Preore e la Scaletta per tagliare la strada al nemico, mentre lui lo  avrebbe attaccato alle spalle. Ma Chesi non riuscì a raggiungerlo prima del  Durone, lo aggirò allora con una dozzina dei suoi migliori uomini e lo affrontò a Cavrasto, dove poté  togliergli 18 capi di bestiame che vennero poi scortati in Val Rendena. I  Capitani Cavoli e Torresani arrivarono troppo tardi per fermare tutto il  trasporto.
Nell'azione di Cavrasto si distinse  per coraggio il sottotenente Giovanni Bruti di Rendena, che s'era unito  volontariamente al Chesi, anche se non era in servizio. Gli fu concessa la  medaglia al valore L'episodio è ricordato dal notaio  Ongari: “L’8 marzo arrivarono qui al Piazzo 17 uomini bersaglieri della  compagnia Sig. Marco Zanini di Fiave, conducendo due francesi fatti prigionieri  ad Arco e 5 de' loro cavalli; alloggiarono dal Sig. Alimonta, ed ai 9  incantarono anche essi i loro cavalli nello spiazzo stesso prima delle vacche  suddette”.
Passato il periodo invernale, la  guerra riprese con nuova virulenza. Si è già detto che il piano di  Joubert era quello di rompere a Salorno e aprirsi la strada per Bolzano,  Bressanone, e raggiungere attraverso la Valle Pusteria l'armata di Napoleone in  Carinzia.
E quando appunto a Salomo, il 21  marzo, il fronte si sgretolò e gli imperiali austriaci batterono in ritirata, il  Gen. Loudon, responsabile delle valli del Trentino occidentale, diede ordine  alle compagnie di ritirarsi dalla Rendena e da Molveno verso la Valle di Non e  poi, attraverso il passo delle Palade, di raggiungere la conca di Merano. “Sulla sera del 22, mercoledi, - commenta l'Ongari - tutte le compagnie di  bersaglieri, che erano in Vigo, Daré ed a Spiazzo, sloggiarono da ogni parte e  dovettero marciare tutta la notte, per essere il giorno seguente in Val di Non”.
Con le  compagnie giudicariesi c'erano anche quelle dei capitani Galvagni, Polidoro, e Ferdinando Belluti de Bergamaschi di Folgaria. Il  Comandante Duchi guidò verso Merano altre compagnie e si incontrò colà con il  Comandante distrettuale Conte d'Arz (Arsio), con i Comandanti di reparto  Fedrigoni e Guella.
Le compagnie si raccolsero tra Lana e  Merano, ma con gravi difficoltà per l'alloggio. Si venne perfino alle mani tra  le compagnie trentine e tedesche, si sparò anche. Sette compagnie dei Capitani  Aloisi, Galvagni, Vicentini, Allotti, Bellotti, Belfanti e Polidoro furono  spostate dapprima verso il castello di Bramsberg, all'entrata della Val di  Ultimo. Si convenne tra i Comandanti che, per il momento, era più opportuno  sciogliere le compagnie trentine e farle rientrare ai loro paesi. Di fatto il 27  marzo, dopo che gli Ufficiali avevano inviato un incaricato parlamentare ai  Francesi, perché concedessero libero passaggio ai bersaglieri che, senza armi,  tornavano alle loro terre, furono licenziate le compagnie trentine. Prima che se  ne andassero, il Comitato di Difesa di Bolzano espresse loro il ringraziamento  della patria con la certezza che, ad un ritomo delle truppe imperiali verso il  Sud, si sarebbero nuovamente ritrovate per combattere l'invasore.
Non fu necessario quell'anno perché  dieci giorni dopo, le sorti della guerra favorirono inaspettatamente gli  Austriaci, che il 10 aprile rioccuparono Trento e inseguirono il nemico fino alla Chiusa di Verona. Due giorni dopo, il 12 aprile, tutto  il Tirolo Meridionale era abbandonato dai Francesi, che per quasi la meta furono  fatti prigionieri.
Terminava così una lotta durata 10  mesi contro un avversario che per due volte era entrato nel Tirolo per  sottometterlo e che per due volte, vinto, dovette abbandonarlo.
Furono dieci  mesi di tribolazioni per le comunità coinvolte dal passaggio delle truppe  nemiche, dal loro soggiorno e dagli scontri che avvenivano con l'avversario. Era  arrivato un inverno freddissimo, e i soldati non andavano per il sottile pur di  aver legna da ardere: tagliavano ciò che trovavano vicino, levavano i pali alle  viti, ingaggiando spesso zuffe con i contadini.
Nell'accennare al travaglio delle  popolazioni investite dalla guerra, non va dimenticato quanto esse ebbero a  soffrire anche dalla rudezza e prepotenza di qualche reparto dello stesso  esercito austriaco. Dalle cronache ufficiali viene ricordato “come indomabile”  il Reggimento “GyuIaysches Freikorps” (dal nome del loro comandante), che i  Francesi ebbero di fronte sul Monte Corona nel novembre 1796 e nelle zone di  Verla e Faedo verso la fine del marzo 1797; lo chia­mavano “la legion  infernale”, tanto era il coraggio e il disprezzo del pericolo che i suoi soldati  mettevano nel combattimento. Era una specie di falange macedone o di legione  straniera minacciosa, quasi disumana, e talvolta senza disciplina, spesso  intollerante degli ordini.
Impegnata dapprima in Val Giudicarie,  suscita immediate e forti reazioni da parte dei contadini del Basso Chiese per i  soprusi e le prepotenze commesse nell'esigere dalle famiglie quanto loro  piaceva. Le proteste divennero un coro, quando il reggimento fu spostato tra  Bolzano e Merano: in ogni paese commetteva prepotenze e ruberie, tanto che  l'autorità militare dovette intervenire, e per espresso ordine del Gen. Loudon  vennero assegnate ai soldati del corpo 2000 scudisciate.
Anche il Gen. Lipthay, che nel  febbraio del 1797 comandava il fronte di Salomo, in risposta alle lamentele di  due inviati della Deputazione di Difesa di Bolzano, dichiara che aveva fatto  distribuire molte migliaia di bastonate a soldati resisi colpevoli di eccessi  verso le popolazioni, e promise di inviare per l'avvenire, nei villaggi, reparti  di cavalleria più disciplinati. E’ significativo al riguardo anche il giudizio  espresso dal Dott. Bernardino de Pietrapiana, console della città di Trento:
“.. Biasimando la condotta dei Francesi non è già che per ciò lodar  voglia quella dei Tedeschi, poiché anche questi hanno com­messo ogni sorta di  rubamenti e di crudeltà, massime verso i carradori, e dato danni volontari nelle  campagne, tagliando viti, mori, asportando pali e levando fino i legnami dai  tetti delle case per far fuoco; in varie case di campagna infransero tutti gli  utensili, specchi, vesti e dopo aver bevuto in cantina vino quanto basta,  lasciavano la spina aperta e lo sparsero per essa ..... , Tuttavia la truppa tedesca  viene desiderata perché, se apporta danaro e incomodo, rende però anche  dell'utile al particolare e pubblico poiché tiene cassa di guerra ben munita di  denaro e  lo spende pagando fieni, avena e quanto  le occorre: conduce seco il pane, farine, e biada e li bovi da macello. Consuma  il vino del paese e lo paga ed inoltre il commercio colla Germania per il  trasporto del vino ed acquavite fiorisce e così anche delle altre merci che da  quella parte ritraggono. Se da un canto apportano danno, dall'altro lo  compensano col denaro che fan girare e colle derrate che trasportano nel paese”.
Altri disagi e soprusi vennero  procurati alle popolazioni, non solo da eserciti di per sé estranei alle terre  occupate, ma anche dal cattivo comportamento di qualche bersagliere tirolese. E’  già stato detto del lamento della popolazione della Vallarsa con la compagnia  Dal Canton. Sul finire di quell'anno, il cronista Maffei, con triste  rassegnazione, terminava il suo commento con le parole: “Non era ragionevole  pretendere che tanti bersaglieri osservassero la dovuta disciplina” .
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