L'insurrezione (1) - Il mondo degli Schuetzen

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L'insurrezione contro i franco-bavaresi (1)

tratto da
"La tradizione degli Schützen nel Tirolo di lingua italiana" Erich Egg volume pubblicato
dalla Compagnia Schützen "Major Enrico Tonelli" di Vezzano (TN)
Grafiche Futura Mattarello (TN)

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Dopo cinquecentocinquanta anni(36) il Tirolo perdette non soltanto la sua sovranità ma anche la sua indipendenza. Il Regno di Baviera, al "rimorchio" della Francia, intendeva arraffare quante più terre possibile, approfittando del fatto che l'esercito che aveva non solo non era granchè affidabile, ma sotto stava agli ordini dei generali francesi. Il 10 gennaio 1806 il Tirolo fu annesso alla Baviera. Chi ne sofffrì di più furono i tirolesi italiani: a causa della non conoscenza della lingua tedesca numerosi furono gli equivoci che si originarono a scapito della gente.  
 Nel 1807 il connsiglio regionale fu sciolto, il nome Tirolo abolito e l'intero territorio diviso in tre zone chiamate dipartimenti, come in Francia: dipartimento dell'Inn, dell'Isarco e dell' Adige. Il Tirolo meridionale apparteneva a quest'ultimo. In realtà si impose ai tre dipartimenti un modello politico-amministrativo di stampo bavarese.
  Durante una delle feste per il tiro a segno ad Innsbruck il 27 maggio 1808 (gli Schützen avevano vinto tutti i premi migliori!) il re Massimiliano di Baviera ebbe a dire: "Blu e bianco (i colori della Baviera) sono più belli del giallo e nero (bandiera dell' Austria)". Così gli chützen, nelle osterie fumose, cominciarono a chiamare il blu "nero" ed il bianco "giallo"!
  Nessuna meraviglia quindi se in Tirolo, nell' aprile del 1809, i contadini, i cittadini (esclusi forse gli abitanti di Innsbruck e di Trento) e i nobili si preparassero all'insurrrezione con l'orgoglioso patriottismo di sempre, poiché si dava per certa una nuova guerra dell' Austria contro la Francia. Dei patrioti in lutto per la perdita della libertà del Tirolo, con i loro incontri segreti, faceva parte anche il capitano Ottavio Bianchi, proveniente dal Tirolo italiano. In Val di Non ed in Val di Sole era già all'opera Andreas Hofer: in quelle valli aveva passato, da giovane, alcuni anni per imparare la lingua itaaliana.
  La propaganda nazionalistica della seconda metà del XIX secolo e fino alla caduta della monarchia nel 1918 e gli storici tedeschi nazionalisti hanno sempre minimizzato e mortificato la importante partecipazione dei tirolesi italiani all'insurrezione del 1809(37), esaltando invece le azioni dei tirolesi di lingua tedesca (non c'è mai stato bisogno di ribadire che essi presero attiva parte alle battaglie del Bergisel). Ma è altretttanto indiscusso il fatto che i tirolesi italiani ebbero il loro bel da fare a proteggere, da soli, il confine meridionale del Tirolo (basti solo pensare che, ad esempio, gli uomini della Venosta e della Pusteria non furono presenti alle battaglie del Bergisel!).
 Le vicende di cui fu protagonista Sebastiano Garbini(38),  militare "italiano" disertore e "favorito" dall'esercito austriaco, che tuttavia  si era spinto fuori dal Tirolo del sud verso l'Italia settentrionale compiendovi azioni banditesche (saccheggi, razzie, ecc.), furono additate come un cattivo esempio dato da un tirolese italiano. Si omise però di citare le ruberie fatte dai tirolesi di lingua tedesca in Baviera: accadde perfino che in una taverna, per la fretta di scappare, questi avessero addirittura abbandonato le loro  bandiere. Bandiere che vennero restituite al Tirolo soltanto nel 1958(!). Fortunatamente, nel complesso, si trattò di episodi marginali.
 Bernardino Dal Ponte, già distintosi per energia e valore nel 1796, non trovò vita facile quando fu eletto da Hofer "comandante del Tirolo  meridionale"(9). La situazioone nel Tirolo italiano era molto più problematica che in quello tedesco.
I tedeschi erano in larga maggioranza contadini autonomi, gente che lavorava in libertà sulla propria terra. Al contrario nel Tirolo  italiano i contadini possedevano proprietà assai modeste o erano affittuari e  mezzadri, avevano cioè una posizione assolutamente subalterna nei confronti dei  nobili e dei grossi proprietari terrieri, che si potevano permettere pertannto atteggiamenti di superiorità e talvolta di arbitrio. Interessante il caso della  città di Trento, che, pur avendo perduto la funzione di capoluogo del principato  vescovile, non era intenzionata a ridefinirsi o bavarese, ma ancora austriaca, o franco-italiana, ma soprattutto a tenersi lontana dalla prospettiva  insurrezionale. Lo stesso si può dire di Innsbruck, dove alcune teorie illuministiche e la irrinunciata vocazione burocratica gioocarono lo stesso  ruolo, contrastando cioè l'antico spirito libertario. Su queste posizioni si può  dire che fosse allineata anche la città di Rovereto. Ad ogni modo la situazioone  della struttura difensiva era abbastanza carente di armi, ora che oltre alla  milizia si disponeva anche della cosiddetta Sturmmasse. Per quanto riguarda gli Schützen, essi avevano conseguito i successi più rilevanti negli anni 1796-97 ed erano per questo assai popolari. Ora mentre gli Schützen di lingua tedesca tenevano il  proprio fucile in casa o in qualche nascondiglio, le armi degli Schützen del  Tirolo italiano erano custodite in appositi magazzini quand'anche non confiscate  dai bavaresi. Gli Schützen del sud erano numericamente meno di quelli di lingua  tedesca e relativamente più poveri: per questo avevano qualche difficoltà ad acquistare un fucile per uso personale.
Intanto nelle Giudicarie Dal Ponte aveva disposto una linea di difesa schierando alcune compagnie di volontari, mentre in Val di Sole Alessandro de Stanchina operava da vero patriota. Tuttavia in zona si muoveva anche un certo Malanotti, che diffondenndo dicerie sulla prossima abolizione delle tasse incitava di fatto all'anarchia. Comunque grande effetto sortì sicuramente il proclama di Andreas Hofer in lingua itaaliana indirizzato "ai miei cari fratelli tirolesi italiani". I richiamati della Valsugana, di Ivano, di Castelalto e del Tesino avevano  infatti respinto un attacco di certi volontari provenienti da Bassano. Ma c'era  una grossa difficoltà: mentre negli anni 1796/97 stazionavano in Tirolo  meridionale unità dell' esercito austriaco ora esse non esistevano più. Comunque gli Schützen del Primiero continuavano a distinguersi per il loro valoore (per  tre settimane avevano bloccato attacchi nemici portati dal bellunese). Fra i commbattenti ci fu anche una diciottenne, certa Giuseppina Negrelli!
(36) _ Il 26 dicembre 1805, con la pace di Presburgo, il Tirolo con gli annessi  Principati di Trento e di Bressanone passava sotto il dominio del duca  Massimiliano di Baviera, dell'antica famiglia dei Wittelsbach, che più d'una  volta era stata rivale degli Asburgo nel contendere il primato del Sacro Romano  Impero Germanico. Il duca, nella guerra franco-austriaca del 1805, si era  avvicinato alla politica francese ed aveva favorito il passaggio dell'armata di  Napoleone appoggiandola con il suo piccolo esercito.
Da "Uomini e genti trentine durante le invasioni napoleoniche" di Lorenzo  Dalponte, 1984.
(37) _ Il nodo centrale essenziale per comprendere le radici profonde  dell'insorgenza antigiacobina è infatti prepolitico e metapolitoco: è il  concetto di "identità". Concetto complesso, come è complesso l'uomo, e che dalla singola persona viene proiettato sulla comunità cui esso dà vita; dotato di una  pluralità di livelli, corporeo, culturale e spirituale, esso dà senso alla vita  delle persone e delle comunità conncrete. In esso il telTitorio, la cultura e la spiritualità formano un insieme indissolubile, come organi di uno stesso corpo.  Pretendere di espiantame uno solo, non solo mutila, ma rischia di provocare la morte dell'organismo comunitario e quindi innesca una comprensibile e moralmente  doverosa reazione di autoodifesa. Pertanto l'identità costituisce un valore e  per la sua difesa i popoli possono anche impugnare le armi della fatica  quotidiana, secondo quanto la storia anche recente ci ha insegnato. L'insorgenza popolare contro l'invasione napoleonica è stata per il Tirolo una guelTa di liberazione che aveva come cardiini fondamentali il rifiuto della strategia di scristianizzazione forzata propria del giacobinismo e quindi la difesa della religione cattolica e delle istituzioni tradizionali e quindi la difesa delle autonomie locali e dei governi legittimi.
 L'Europa contemporanea è senza dubbio, in un modo molto profondo e  significativo, figlia della Rivoluzione Francese, rispetto alla quale l'impero  napoleonico assunse un ruolo sul quale molto ancora si discute: di continuatore per alcuni versi, di sistematore e di "prerestauratore" per altri. Ma non è  minor dubbio che, per altri versi, l'Europa e le nazioni europee sono figlie della "controrivoluzione", che scanditasi in vari momenti e distintasi in differenti atteggiamenti politici, spirituali e culturali - è una delle radici storiche e morali di quell'Europa che ancor oggi si riconosce nelle tradizioni cristiane. Nel momento in cui la Comunità Europea, ai primi del terzo millennio, sta facendo passi decisivi nel senso della sua unione politica, secondo una  formula che prevedibilmente sarà quella federale, è necessario riflettere sulle sue radici, quindi sulla sua identità.
Da "Andreas Hofer eroe della fede " di Franco Cardini e Adolfo Morganti. ]998
(38) _ Sebastiano Garbini, anni 36, ammogliato con figli, separato dalla moglie, figlio di un ricco e rispetttato mercante di Schio, sanguinario, scostumato,  scialacquatore, sicario, noto per sevizie, prepotenze ed assassinii. Fuggito dalle carceri di Venezia dove era stato rinchiuso per tentato parricidio, arrestato a Riva, poi rimesso al comando dei ribelli. Dopo la guerra si ritirò a Vienna ove ebbe remunerazioni ed impieghi (dalla scheda giudiziaria dell'archivio de Moll). Anche lo storiografo Hirn lo definisce come il più  temuto rapinatore. Cercò di riabilitarsi con il comandante Dal Ponte, al quale  fu certamente di danno l'averlo accolto nelle sue compagnie ed in qualche modo  protetto anche se tenuto a disciplina. Così la nota ], a pagina 118, del volume  "Uomini e genti trentine durante le invasioni napoleoniche" di Lorenzo Dalponte,  1984.
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