L'annessione del Trentino all'Italia - Il mondo degli Schuetzen

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IL TIROLO ITALIANO
tratto da "Gli schützen tirolesi e trentini e la loro storia" di Franz-Heinz v. Hye, Bolzano 2002 - postilla del prof. mons. Lorenzo Dalponte - Edizione Athesia

6) l'annessione del Trentino all'Italia

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Nell'autunno del 1918 nelle valli trentine in generale non mancò un'ombra di preoccupata attesa per l'ingresso nel paesi delle prime truppe d'occupazione italiane. La gente avverti che qualcosa di portata storica stava succedendo: il crollo di un mondo e l'inizio di una nuova avventura.
Significativo, al riguardo, è il racconto di Silvia Dalponte che ora vive a Fort Lee nel New Jerscy in Nord America. Alla richiesta dell'Associazione Trentini nel Mondo di spedire alcune notizie sulla sua vita di emigrante, risponde con questi particolari: «Sono nata il 10 giugno 1896 a Vigo Lomaso, ove ho vissuto fin dopo la Prima Guerra mondiale      ... In quegli anni ho lavorato duramente nei campi per mancanza di uomini       ... E ho visto l'arrivo delle truppe italiane. Quando entrarono in Vigo hanno voluto fare la cerimonia di bruciare la bandiera austriaca. La mia famiglia abitava in piazza e un ufficiale domandò della nostra bandiera, ma mia madre chiaramente non voleva dargliela. Poi ha dovuto. Quella bandiera, bianca e nera, l'aveva fatta lei.- un colore era di stoffa di cotone, l'altro di stoffa di lana. Quando l'hanno incendiate il cotone bruciò, ma la lana no. Gli italiani erano rabbiosi, ma noi contenti, perché non bruciava ... Dovettero andare a prendere della benzina».
E un episodio sintomatico che si ripeté anche altrove, lasciando perplessa, se non delusa, la popolazione. Non era possibile spazzare via secoli di storia con una scenetta da teatro. Per destare nella gente sinceri sentimenti di italianità e di fiducia, bisognava far apprezzare il tricolore in ben altre maniere. Si voleva convincerla che la guerra era persa? Lo sapeva già ed era disposta a voltare le spalle ad un doloroso passato se una mano amica l'avesse aiutata a fare primi passi verso un avvenire di speranza.
Prendendo possesso del paese di Vigo Lomaso il militare italiano fece appendere alla bacheca comunale il proclama d'occupazione e l'ordine di consegna di tutte le armi. Gli ufficiali osservarono con sorpresa che anche le donne anziane scorrevano gli avvisi con occhi attenti. Uno di loro si avvicinò ad una vecchietta e la invitò a leggere ad voce alta un paio di righe. La donna lesse correttamente e colse a sua volta con stupore il meravigliato commento dell'ufficiale: «Ci avevano descritto questi paesi come terra del sottosviluppo, abitata da analfabeti! ».
Il governo italiano, con i militari e i nuovi funzionari dell'amministrazione, non pose molta attenzione al pensiero delle popolazioni trentine, considerate -redente- a parole ma trattate come abitanti di terre conquistate alla maniera di una colonia africana.
Aveva capito molto di più il generale Ugo Zaniboni, che nella sua storica opera Secca 1866, la campagna garibaldina fra l'Adda e il Garda scrisse: «Le popolazioni trentine tirolesi erano amanti delle tradizioni e di uno stato di tranquillità. Non gradivano novità. Non subivano noie politiche se non avanzavano rivendicazioni di riscatto nazionale. Godevano di un'esemplare amministrazione pubblica, esercitata da funzionari generalmente incorruttibili. Pagavano le «steore» (che in forma dialettale significa tasse), inferiori a quelle pagate nel vicino regno. Erano povere, ma non miserabili. Erano religiose, epperciò la chiesa aveva su loro un forte ascendente. Il clero era serio e rispettabile. Il clero praticava l'insegnamento elementare ed esercitava l'ufficio di stato civile (godeva dei trattamento di funzionario dello stato). Il nazionalismo era fortemente sentito dalla classe media (borghesia liberale) (non tutta naturalmente) specialmente nelle città, ed andava aumentando verso Sud, dalla classe colta (in gran parte) e da quella nobile. Da popolazioni educate in tal modo non vi era da attendersi sommovimenti di massa per uma causa che non era diffusamente sentita. Chi aveva questi sentimenti era già tra i volontari o in prigione o non aveva la forza e la volontà di manifestarli. Qualcuno si illuse, non conoscendo il popolo trentino tirolese, e vi fece affidamento lo stesso Garibaldi, La Marmora, Crispi e, particolarmente, Mazzini. Ma Garibaldi capì ben presto che non vi era da farvi assegnamento. Quì in Tirolo, la situazione era ben diversa da quella della «Due Sicilie»».
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